Gli Uccelli di Hitchcock: che ne è della nostra terra se non sappiamo farne una casa?

Ho chiesto alla mia famiglia un regalo di compleanno di lusso: mi hanno promesso che dedicheremo il sabato sera a guardare i film di Alfred Hitchcock. Da Chesterton ho imparato che i gialli possono essere vaccini per l’anima, ci ricordano che abbiamo i piedi piantati nel mistero, nel dramma. E mai come in quest’ultimo anno pare di sprofondare in una palude di disperazione.

Piantati nel mistero

Coi piedi piantati nel mistero si vive a occhi spalancati, in cerca di indizi e alleati. Nella palude della disperazione, invece, si cola sempre più a picco in una melma viscida – che pare così poco pericolosa, ed è funesta.

Questo è un tempo di semina. Occorre piantare semi nel buio. Piantare bulbi buoni anche nella totale incognita di non sapere che sarà di noi. Non ci sono più gli aedi che cantano storie attorno al fuoco per il popolo, ma io posso riunire la mia famiglia sul divano del salotto. Posso stare con mio marito e i miei figli senza subire quello che le grandi piattaforme di comunicazione ci impongono. A casa mia, in questo tempo di pandemia e gran confusione, ripartiamo (non solo, ma anche) da Alfred Hitchcock.

I nostri figli sotto attacco

Lo scorso sabato è stato il turno di un capolavoro assoluto, Gli uccelli. Non lo guardavo da tantissimi anni, avevo solo il ricordo di quelle scene che sono diventate iconiche. Stormi di volatili che si mettono ad attaccare bambini e uomini. Senza un perché.

E – diciamolo – guardare oggi quella scena in cui una massa fitta di corvi attende placida che i bambini escano da scuola per attaccarli e dilaniarli è qualcosa di più attuale di tanta cronaca da prima pagina. Le gemme fresche dell’umanità sono aggredite da stormi di ideologie cupe, su ogni fronte. Spesso l’agitazione dei giovani è una corsa in fuga da ipotesi di vita tristi e lugubri di cui noi adulti abbiamo riempito la loro via. Chiedono speranza, li assaliamo di lamentele.

Un’opera artistica la riconosci dal fatto che continua a incarnarsi. Parla con le stesse parole e con le stesse immagini, eppure dice e mostra cose nuove. È un vestito fatto di tessuto antico e pregiato, che pure sembra confezionato per l’occasione attuale. Sarebbe facile guardare Gli uccelli in tempo di pandemia e fare un discorso intellettualmente ecologista sulla Natura che si ribella al delirio umano di onnipotenza. Un virus ci sta mettendo ko, esattamente come la tranquilla comunità di Bodega Bay viene invasa da volatili improvvisamente e mortalmente aggressivi. Va in scena la resa dolente della creatura che si credeva padrone del mondo. L’uomo soccombe.

Una famiglia in fuga da casa

L’ultima inquadratura del film ci mostra un’auto in fuga con a bordo 4 persone (una famiglia sui generis) e fuori c’è uno spazio umano distrutto, riconquistato da corvi e gabbiani. Gli ultimi protagonisti fuggono, la supremazia degli uccelli è schiacciante e sottolineata dai loro versi striduli, quasi risa sprezzanti.

Questo finale inquietante mi ha lasciata angosciata molto più di quanto ricordassi e credo c’entri qualcosa il fatto che il nostro presente è una ferita aperta sulla casa che abitiamo, e non sembra più nostra.

Siamo stati violati, sconvolti. Siamo stati spodestati dal trono delle nostre sicurezze. Ci vediamo vulnerabili, senza possibilità di nasconderlo.

Attorno al nostro divano di famiglia sono sorte queste domande. Che ne è del mondo se l’uomo se ne va? Che razza di vita esiste lì dove domina solo la natura? Possiamo davvero immaginare un tempo e uno spazio in cui regni il silenzio della terra, e che abbia come unica voce lo stridulo gracchiare di corvi e gabbiani?

(Sì, sì, lo so. Questo è il punto in cui qualcuno solleva l’obiezione: «Però gli uomini sono così cattivi! Forse la terra non sarebbe messa così male se non ci fosse l’uomo!»). Ecco. È su questo punto che il genio di Hitchcock ha cominciato a lavorare nel mio intimo. In un giallo ogni indizio è importante. Pian piano immagini e parole e suggestioni si sono messe a borbottare nella mia testa, finché ne è uscita una parola chiara: sacrificio.

Volevi un flirt, hai trovato l’amore. Chi sei Melania Daniels?

Non vale come recensione ufficiale del film, vale solo come gesto di gratitudine di una spettatrice del 2021: grazie a Gli uccelli mi sono confrontata con l’ipotesi che se l’uomo sparisse dalla terra, sparirebbe anche ogni presenza capace di consapevole sacrificio.

Una delle ultime scene forti del film assomiglia molto a una crocifissione: la giovane protagonista Melania Daniels viene assalita dagli uccelli in una stanza della casa dove è entrata, senza apparente motivo. La scena è lunga e agghiacciante, per i nostri tempi cinematografici attuali è quasi infinita. Eppure ogni istante è parte  di un mistero simbolico.

Buona parte della casa è al sicuro dall’attacco delle bestie, eppure lei sale le scale e va ad aprire una porta chiusa. Potrebbe stare al piano terra con gli altri, l’uomo di cui è innamorata e il resto della famiglia di lui. Invece si allontana e sale. Entra in una stanza e lì dentro si consuma una violenza indicibile. Gli uccelli la aggrediscono senza pietà, la telecamera insiste a inquadrare le mani e i piedi di lei, inchiodati alla porta e feriti a sangue dai becchi dei gabbiani. È proprio crocifissa alla porta da una malvagità protratta che non si sazia. I becchi si piantano nella carne, come chiodi.

Chi è Melania? Perché è lì? È una giovane donna bellissima che riempie le pagine dei giornali rosa, come certi VIP che conosciamo bene. Ricca e famosa, eppure senza un vero scopo nella vita. S’invaghisce di un uomo e lascia la grande metropoli di San Francisco per andare a fargli una sorpresa nel piccolo e idillico paesino di Bodega Bay. Arriva in quell’angolo di paradiso in auto e porta con sé una gabbietta con due inseparabili. Ogni dettaglio conta. Chi è in gabbia, lei o gli uccellini?

Fuori dalla gabbia, la violenza e il sacrificio

Melania aveva in mente era un flirt con l’uomo di cui si era invaghita, voleva far colpo e poi scappare. Doveva essere un week end insolito, e basta. Una delle battute che ripete più spesso è che vuole tornare a San Francisco, nella grande città. Ma è costretta a rimanere a Bodega Bay per essere parte di un dramma impensabile: l’assurda aggressività mortale degli uccelli. Ed è in questa cornice drammatica che matura un rapporto profondo con l’uomo di cui si è invaghita, e anche con la madre e la sorella di lui. 

L’amore è un’esperienza che ci allontana dalle autostrade dei nostri progetti e ci riporta a uno spazio più profondo e trascurato della nostra anima. Dalla metropoli a una casa. Dalle giornate buttate via qua e là, al progetto di uno spazio di cura fatto di presenze con cui si condivide il letto e la tavola.

Dicono che un’esperienza affettiva fedele e che punta all’eterno sia una gabbia. Metaforicamente ci viene ripetuto che è meglio stare nella grande San Francisco, piuttosto che nella piccola Bodega Bay: meglio la festa di tanti flirt fugaci che il costante rituale di dire «sì» ogni mattina alle stesse solite facce, no? No.

La gabbia, Melania, se la porta dietro da San Francisco. Nella grande città piena di caos era legata a tante trappole di illusoria felicità. Ed è a Bodega Bay che – letteralmente – lei e gli uccelli si liberano. La libertà degli uccelli diventa un’ondata di brutalità cieca. Invece, fuori dalla gabbia del suo egocentrismo, Melania intuisce cosa sia l’amore domestico e si confronta con un sacrificio quasi mortale.

Una casa da costruire

La via dolorosa di Melania è la scoperta che l’amore non è un flirt ma una casa in cui si patisce insieme. Si dà la vita, se ci viene chiesto. Amare non è un gesto istintivo e irrazionale, come istintiva e irrazionale è l’improvvisa furia degli uccelli.

E allora quella scena finale acquista un sapore diverso. A bordo dell’auto che se ne va ci sono persone abbracciate e ferite che hanno imparato ad amarsi, fuori c’è la solitudine di un enorme ammasso di bestie che gracchiano. Ecco perché è così agghiacciante pensare a un mondo dove non esista questa creatura incredibile – nel bene e nel male – che è l’uomo: quelle quattro persone in fuga, dovunque andranno, saranno capaci di metter in piedi una nuova casa. Con loro il mondo si riempie di grottesco e di ironia, di carità e gelosia, di sacrificio e di egoismo. Ma senza di loro non resterebbe altro che una terribile visione, una natura selvaggia e indifferente.

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