Questa è la mia lettera al mondo

nelle tue mani

«Questa è la mia lettera al mondo / che non ha mai scritto a me» sono le parole famosissime con cui Emily Dickinson confessava una verità che ci riguarda tutti, tanto evidente quanto trascurata.

Scrivere è sempre un gesto rivolto a qualcuno. Non è mai un monologo, è sempre una lettera.

La parola non vive del soggetto che la pronuncia, ma dell’abbraccio in cui la protegge chi la riceve.

Scrivere è sempre un gesto sbilanciato verso fuori, è il bisogno di mettere la nostra vita in mano a qualcuno.

Che, a ben vedere, è il massimo desiderabile. Lontano anni luce dall’abbaglio di chi s’incorona narratore e regista del proprio mondo.

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il pubblico non basta

Le lettere e le cartoline, tanto tempo fa ma non troppo, le scrivevamo agli amici, a qualcuno che volevamo compagno delle nostre esperienze. Quello che ci faceva prendere in mano la penna era l’attesa che occhi diversi dai nostri accogliessero le nostre parole. Un posto di vacanza diventava ancora più bello al pensiero che l’amica del cuore l’avrebbe visto in cartolina con il nostro TVTTB.

Scrivere una lettera ci rende vulnerabili. Ed è perciò una benedizione.

Presuppone che la mia storia, per essere davvero compiuta, arrivi nelle mani di un altro, e da lui sia custodita. È come se una parte davvero intima di noi trovasse la sua vera dimora in casa di un altro, riconosciuto come alleato, amico, compagno, fratello. È come se, raggiungendo un destinatario, ci fosse più chiaro il destino custodito nelle nostre parole.

Non ci “risolviamo” da soli.

Oggi quest’urgenza di fondo non cambia, ma l’abbiamo camuffata e trasformata in un mostro. Ci siamo ridotti a pensare che il destinatario delle nostre lettere al mondo sia un “pubblico”. Anche la posa di tanti scrittori è questa: “scrivo perché sono un esempio per i lettori, ho cose importanti con cui erudirli”. Sono alberi con le radici per aria, aggrappati al fumo della propria vanità.

E pure noi, che non siamo premi Strega, usiamo i social monitorando l’indice di gradimento delle nostre parole. Sì, scriviamo a qualcuno, ma questo qualcuno ci interessa come massa di gradimento da usare come iniezione di amor proprio.

Chiediamocelo. Cosa ci aspettiamo dal destinatario delle nostre parole? Stiamo cercando riconoscimenti per costruirci un altare dentro casa o mettiamo la nostra voce in mano a chi ci è accanto, perché quello che è  mio abiti in una casa meno claustrofobica dell’egoismo?

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lettere per Lorenzo

Martedì 22 novembre a Castel San Pietro (BO) Lorenzo Bastelli è morto a 14 anni . Il sarcoma di Ewing ha messo il suo corpo e la sua anima alla prova fino all’ultimo. È facile cadere nell’errore di raccontare storie come la sua dicendo: «non ce l’ha fatta». Chi gli è stato accanto potrà documentare con cognizione di causa che Lorenzo ha fatto molto, un molto che non corrisponde alle fragili impalcature su cui noi crediamo si fondi il «fare».

Un mese esatto prima della sua morte la sua mamma aveva avuto un’idea che è diventata una storia virale. Tutte le testate hanno parlato di lei, la madre di un giovanissimo ragazzo malato che chiedeva di scrivere a suo figlio lettere e cartoline per inondarlo del mondo. Lorenzo era costretto a rimanere in casa, per l’aggravarsi della sua patologia, ma è stato travolto dall’affetto di persone, famose e non, che gli hanno scritto una lettera, un messaggio, qualcosa.

Ed è qui che bisogna usare l’unità di misura del ribaltamento. Sempre in queste settimane Fedez ha parlato pubblicamente della sua malattia, ha confessato che non è vero che il patire rende migliori, anzi rende peggiori. Onesto, nel non indorare la pillola. Però. Cosa vuol dire peggiori? Certo non più cattivi. Da quel che si legge tra le righe, il cantante intende: meno forti di quanto ci si aspettava, più esposti alle domande scomode, tremanti davanti al burrone.

La malattia è carta vetrata, rende esposta la parte di noi che sta sotto le apparenze. Fa male la carta vetrata. Toglie. Si resta non solo nudi, ma senza la protezione della pelle. Quello che è piantato dentro viene alla luce. Se c’è solo buio, si mostrerà senza edulcoranti.

Il mondo nudo ed esposto di Lorenzo Bastelli non era solo buio. E ha trascorso l’ultimo mese di vita leggendo lettere arrivate da “un mondo” di gente. L’opposto di Emily Dickinson. Sarebbe troppo facile dire che tante persone di buon cuore lo hanno aiutato, hanno fatto un gesto di compassione sincera per lui.

Più ci penso più credo che sia l’opposto. Ciascuno di noi (inconsapevolmente) brama, non aspetta altro che poter fare la cosa più umana possibile: scrivere a qualcuno, mettere la propria voce tra le mani di un altro.

Perché scrivere a un ragazzo malato? Per consolarlo? Per distrarlo? Perché ci fa pena? Tutto plausibile.

Essere guardati da uno che ti chiede: chi sei?

Ma, inconsapevolmente, è un altro il tesoro in gioco. Noi – tranquilli nelle nostro giornate affaccendate ma comode – abbiamo bisogno di essere guardati da un giovane che attraversa la prova suprema, quella di affrontare l’ingiustizia di una scomparsa prematura e di una sofferenza fisica che lo strappa dalle cose che ama, dall’entusiasmo del bello che verrà.

Al cospetto di questi occhi le nostre certezze crollano o tengono. La carta vetrata della malattia leviga anche chi guarda il paziente.

Se alla fine di ogni nostra giornata immaginassimo di scrivere il resoconto di ciò che ci è accaduto a Lorenzo, cosa cambierebbe nei nostri pensieri? Quale cornice di giudizio nascerebbe all’idea di mettere in mano a Lorenzo il nostro giorno?

Personalmente lo farò. Non gli ho scritto mentre era vivo, ma gli chiedo il permesso di scrivergli ora. Che mi sia compagno di sguardo sul mondo, perché lui è il ritratto sincero dell’uomo: una fragilità senza pudore sfiancata dal male e nondimeno pervasa dal canto della vita. Migliore o peggiore è irrilevante, non sono  caselle umanamente significative. Chi sei? è questo ciò a cui ci espone la prova della malattia, così come ogni altra evenienza dura o lieta del vivere.

Continuiamo a scrivere a Lorenzo, teniamocelo caro come destinatario del nostro diario di vita. Teniamo queste lettere a Lorenzo in un cassetto reale di casa nostra, non pensiamole in astratto e basta. Al cospetto della sua presenza molto si fa chiaro.

Cosa diresti di te se fosse lui a chiederti: «Chi sei?».

2 commenti

  1. Grazie Annalisa, sei sempre sul pezzo, piaceresti molto al Papa perché usi il Discernimento, merce rarissima di questi tempi… ❤️👍😘

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