Filippo porta il suo cuore a spasso in un carrello

Ingombrante

Un bimbo di 6 anni di nome Filippo ha una grave patologia cardiaca e dallo scorso Natale la sua situazione si è aggravata al punto che ha avuto bisogno di essere attaccato a un cuore artificiale. Per mesi, quindi, è stato chiuso in una stanza e la sua vita era aggrappata a uno strumento enorme, di 90 kg. E questo peso parla sia della forza salvavita che c’era in ballo, sia dell’ingombro invalidante che pesava sulla piccola vita di un bimbo.

Il Policlinico Sant’Orsola di Bologna dove Filippo è ricoverato ha pubblicato su Facebook una buona notizia. Grazie a un nuovo apparecchio che si chiama Drivin Unit Excor, pesa solo 9 chili e ha un’ autonomia di 12 ore, Filippo non è costretto a stare chiuso in una stanza, può andare in giro portando a spasso il suo cuore artificiale in un carrello.

I titoli dei quotidiani hanno abusato dell’espressione «finalmente a cuor leggero». È vero ma di quale leggerezza parla la storia di Filippo?

La prima impresa eroica che ha fatto col suo cuore nel carrello è andare a fare colazione coi suoi genitori nel bar dell’ospedale e ha espresso il suo desiderio, andare a scuola perché non c’è mai andato. «Farò il bravo» ha aggiunto.

Cuoricini

E mi sono ricordata il video di una canzone ormai datata, Another Chance in cui una ragazza andava in giro portando in mano un cuore enorme, gigantesco, davvero sproporzionato e nessuno aveva il coraggio di avvicinarla. Per poter incontrare i suoi simili, la ragazza doveva accettare che l’ingombro di quel cuore si riducesse. E non è forse vero che anche noi riduciamo il cuore? Mandiamo un mucchio di cuoricini nelle chat. E usiamo proprio il diminutivo, cuoricino.

Forse c’illudiamo di proteggerlo perché lo trattiamo da piccolo oggetto prezioso, forse lo vogliamo di dimensioni ridotte per non tenere sempre a mente che – patologie cardiache o no – prima o poi il cuore si fermerà.

Una volta di più la lingua virtuale ci mente per sottrazione, per riduzione.

Troppo pericoloso

La fragilità di Filippo non usa diminutivi e vezzeggiativi.

La vulnerabilità della sua patologia dice a lettere cubitali che il cuore è qualcosa di visibilmente ingombrante. Lui parla davvero con il cuore in mano e non è una posa romantica, ma  vertiginosa. Ci spaventerebbe a morte pensare di camminare – letteralmente – col nostro cuore fuori dal corpo. Un organo non più nascosto e protetto dalla gabbia toracica, il nostro battito di vita esposto all’impatto col mondo.

Sarebbe troppo pericoloso, saremmo troppo esposti. Avremmo il coraggio di Filippo di far anche solo un passo fuori dalle nostre stanze?  Avremmo la sua leggerezza entusiasta di dire «farò il bravo» cioè non di ridurre neanche di un briciolo la portata enorme dei nostri desideri, di quello che rende il cuore qualcosa di assolutamente gigante?

puoi ascoltare questa storia anche in podcast

3 commenti

    • Ho inserito la nuova mail dalla homepage del mio sito. Confermami, se vuoi, l’esito positivo della mossa …

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