Nessuna regina è sola

Ho guardato l’acclamatissima serie La regina degli scacchi con un ritardo di giusto 3 anni, fuori tempo massimo per ogni recensione ma con un tempismo perfetto per fare da contraltare al successo della canzone Flowers di Miley Cyrus. Negli stessi giorni in cui Miley cominciava a spopolare in radio con quel ritornello Posso regalare fiori a me stessa, incontravo la storia di Beth Harmon quella che …

Fu la scacchiera a colpirmi. Esiste tutto un mondo in quelle 64 case. Mi sento sicura lì, posso controllarlo, posso dominarlo ed è prevedibile. So che se mi faccio male è solo colpa mia.

Due regine, ciascuna a modo suo. Ciascuna con un conto aperto con la solitudine di stare seduta sul suo trono, ma Beth sa la mossa giusta per fare scacco matto al lamento di Miley.

I fiori di Miley

È orecchiabile, la canticchio spesso. È come un esame di coscienza alla rovescia. Miley Cyrus ha vestito di note pop quello che è un mantra molto contemporaneo. La donna che sta bene da sola, che non ha bisogno di un compagno. Anzi che è più felice senza nessuno accanto. Che sa amarsi meglio, addirittura.

La litania circola da molto sulle riviste di lifestyle, tutta una serie di chiacchiere che sviliscono e avvizziscono il tema della solitudine riducendolo a una serie di pacche sulle spalle per tristi ragazze single.  Ma vedrai che stai meglio senza di lui. Oppure. Guarda che tu sei l’unica in grado di capirti fino in fondo. Oppure. E poi la felicità non può dipendere da un altro. Oppure. Domattina alzati e fai come le stelle, brilla di luce propria.

Sarei bravissima ad andare avanti all’infinito con questi sforzi di auto convincimento per autocombustione. Ne ho fatto la trama prevalente della mia giovinezza, un bisogno arrabbiato e ardente di raccontare a me stessa che nessun mi avrebbe ferito perché a nessuno sarebbe entrato nel mio regno a calpestare i miei sogni (illusioni).

Tutte le volte che sento il ritornello di Flowers, Miley ha una voce che parla una lingua che conosco bene.

Posso regalarmi dei fiori

Scrivere il mio nome sulla sabbia

Parlare con me stessa per ore

Dire cose che non capisci

Posso portarmi a ballare

E posso tenere la mia mano

Sì, posso amarmi meglio di te.

Ho sbirciato gli accordi di questa canzone e ci sono il LA minore e il RE minore a dettare il passo musicale, segno che non è un inno ma un lamento. Miley dice che sa amarsi meglio da sola, ma la musica svela che è triste nel dirlo.

Ed è così. Come dicevo, è un esame di coscienza alla rovescia ascoltare questo brano. Dove mi ha portata la strada dell’amarmi da sola? A un mucchio di lacrime e pugni chiusi. Certo, la solitudine è uno spazio di conoscenza e riflessione necessario e da custodire, ma il verbo amare deve implicare un tu. Con tutto il dolore e la fatica che esige. Non è facile amare un altro, non è rose e fiori lasciarsi amare da un altro.

Ma non c’è altra via. Perché l’amore riflessivo – che il soggetto riversa su se stesso – avvizzisce, marcisce, inorgoglisce, asseta, brucia lo stomaco. Da sola sono bravissima a venerarmi e poi insultarmi, da sola sono capacissima di esaltarmi e poi deludermi. Vedo clamorosamente bene dettagli di me che non mi perdono mai. Trascuro punti forza trattandoli come difetti.

Questo non significa che tutti siamo chiamati all’esperienza di coppia, significa solo che è una bugia raccontarsi che l’amore può essere un’esperienza solitaria. Per quanto Miley cerchi di cacciarlo fuori dall’uscio il TU resta. Non è detto che sia l’anima gemella, ma chiunque sia questo TU ci deve essere quando si parla di amore.

Lo scacco matto di Beth

Beth Harmon è orfana ed è un talento formidabile nel gioco degli scacchi, metafora eccellente di un gioco in cui si è soli di fronte a un avversario. Beth potrebbe canticchiare la canzone di Miley, ma solo fino  alla penultima puntata. È capace di calcolo e visione di fronte alla scacchiera, è capace di una motivazione egocentrica che cancella ogni altra figura sulla scena.

Nei rapporti e nelle relazioni Beth non è brava, allontana chiunque ed è distaccata e algida. Vive l’affetto come un balbettio ferito, sia con la madre adottiva sia coi ragazzi con cui ha fugaci incontri che finiscono in niente. È più sincera di Miley perché da sola non si ama, ma si autodistrugge di pillole e alcol.

E il suo TU è sempre un avversario, da sconfiggere. Ci sei tu che fai le tue mosse, l’altro è un nemico agguerrito. Chi incontri e hai a fianco non conta più, se lo hai sconfitto. Eppure.

L’ultima puntata della serie potrebbe essere interpretata come una bellissima lode dell’amore che irrompe nel freddo regno di una regina convinta di dover vivere la vita come uno scontro, di cui essere sempre all’altezza, e orientato alla contesa con l’avversario.

Beth è a Mosca, lontano dalla sua casa in America. È nel territorio del nemico per eccellenza, è nel regno freddo per eccellenza. Deve confrontarsi con un avversario invincibile, che l’ha già sconfitta due volte. È il suo momento, potrebbe essere l’esaltazione della regina solitaria che solo con le sue forze sconfigge il nemico dall’altra parte della scacchiera (per sconfiggere – in realtà – quel nemico interiore che sussurra che bisogna dimostrare di meritare di esserci, che bisogna studiare la mossa giusta per esibire le zanne lì dove ci sono le ferite).

Temevo che la storia di Beth Harmon fosse una celebrazione della solitudine dei talentuosi e fragili. Della forza cocciuta degli infelici. Per questo ho pianto di gioia davanti alla scena in cui squilla il telefono. Beth riceve una chiamata dai suoi amici, poco prima dello scontro finale con l’avversario invincibile russo. Non è Beth che chiama e chiede aiuto. Sono loro, quelli che lei ha trattato da avversari, non ha amato come si deve, ha anche trattato male… loro con una telefonata la raggiungono nel regno del freddo. Per dirle che hanno studiato ogni variante possibile per farla vincere. Hanno vegliato per aiutarla. E lei finalmente prende appunti – si lascia amare.

Beth non ha amato mai amato meglio se stessa.

Non ha mai neppure amato bene gli altri.

Meglio – la mossa vincente – è quando si lascia amare, dopo il gesto gratuito di qualcuno che la chiama e dice: siamo con te, il tuo passo è la nostra cordata.

Tutti i vani sforzi di autoconvicimento di Miley non sono necessari. Possiamo smettere di cantarci fandonie allo specchio. Possiamo alzare la cornetta e stare ad ascoltare. Possiamo aprire gli occhi come Beth, grazie al cielo, e tirare un sospiro di sollievo.

Da soli siamo capaci di costruire un gioco in cui si moltiplicano solo gli avversari. Da soli la partita è “io contro il mondo”. E rischiamo davvero di credere che il senso di tutto sia stare piantati su un trono, applaudire le nostre qualità, leccarci le ferite, portarci fiori, venerarci davanti allo specchio e sabotare così la vera avventura. Riconoscere e accettare che qualcuno ci tende una mano.

Un commento

  1. Una solitudine ci da’, spesse volte, forza interiore. Due solitudini danno un senso all’esistenza. Grazie cara Annalisa

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