Vincono loro

Stare, guardare, ascoltare in ogni genere di contesto – marginale o sostanziale – implica quella libertà che nel Siracide è espressa così:

Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua:
 là dove vuoi, tendi la tua mano

Si può alimentare il fuoco distruttore dello scandalo, si può condividere un sorso d’acqua che disseta. A ciascuno la sua via. Dentro le relazione con le persone e con i fatti c’è sempre sia il bene sia il male. La direzione dello sguardo – alimentare l’incendio del male, custodire il bene che disseta – è frutto di una libertà che tende la mano a qualcosa. Per quel che mi riguarda, sto con l’ipotesi che ha cantato Madame, “a me resta il bene, a te il male. Non male, per me”.

Sanremo 2023 – stare e restare

Ho guardato Sanremo come faccio tutti gli anni, perché mi piacciono le canzoni e mi piacciono le parole. Avevo nel cuore alcuni artisti che conoscevo già e sono stata felice di continuare ad applaudire: Colapesce e Di Martino, Coma cose, Madame.

Fin dal primo ascolto, tutta la mia attenzione emotiva è stata catturata da Marco Mengoni (anni luce di distanza dagli altri) e Lazza (che non conoscevo). Chi è stato con me in questi giorni, sa che rompiscatole sono stata nel parlare dei testi di questi due artisti. Perfino ospite in radio ho ‘sproloquiato’ una loro lode sperticata. Ma mi ci è voluto un po’ per distillare questo impatto emotivo, capire quali tasti o nodi toccassero … tali da portare un balsamo di consolazione nel mio intimo. Se questo accade – mi sono detta – ci deve essere un motivo. La canzone salta il livello razionale, s’attacca più a fondo.

Allora sono andata a pescare giù, dentro di me, e qui metto in fila alcuni appunti. Nulla più.

Quello che a me resta del Festival di Sanremo è un accento forte e spiccato sulla fatica bellissima di “stare” dentro un rapporto affettivo. Ne vale la pena con tutte le pene che comporta. E parto lasciando la parola a ha chi ha vinto il premio come miglior testo, i Coma cose.

L’addio non è una possibilità

Un legame affettivo che non contempla la crisi non esiste. Cosa farne di una, due, mille crisi è la faccenda che può essere feconda o distruttiva. Loro hanno cantato la conquista della libertà di dirsi di non mollare, di non darla vinta alle molte specie di addio da cui si è tentati. E sono anche stati molto chiari nell’indicare ciò che deve sciogliersi piano piano, l’egoismo. Devo puntare meno sul me, sul tenere compatto come cemento armato l’orgoglio. Per stare lì, dove ci si suda un affetto non istintivo, l’orgoglio deve andare in pezzi. L’addio non è una possibilità se

Se mi dimentico me, com’ero
quando l’orgoglio era ancora intero

Il loro testo è la cornice di ciò che tiene uniti su un solo podio (non tanto un ex-aequo quanto un rafforzativo reciproco) il primo e secondo classificati. Non ha vinto Mengoni. Ha vinto il duo Mengoni-Lazza.

E tra gli appunti che prendo, e giudico non affatto scontati, c’è quello in cui mi segno: vincono due testi in cui l’inquietudine e il conflitto sono guardati come occasione di costruzione, non di distruzione.

Marco Mengoni, l’inquietudine che non puoi togliere a chi ami

«Siamo i soli svegli in tutto l’universo», basta il primo verso a dire che siamo lì dove Leopardi ha lasciato il suo pastore errante. Guarda caso, nel ritornello fa la sua comparsa anche la luna. A chi fa schifo unire il sacro e il profano suggerisco di fermarsi qui. Capisco che possa repellere il pensiero che la voce del pastore insonne di Leopardi oggi abbia la stessa sfumatura di esperienza di due che non sono più in un contesto bucolico insieme al gregge, ma «si sono fottuti ancora una notte fuori un locale».

E meno male, mi sento invece di cantare insieme a Mengoni. Meno male che un certo tipo di inquietudine tenga svegli. Ancora oggi, la stessa.

Tutto nel testo è un battere sul non essere a posto (si sollevano le strade, non dormi, non dormi, non dormi, qualcosa ti agita, a gridare un po’ di rabbia sopra un tetto, la follia che balla in tutte le cose). Ed è un insistere sullo stare insieme, quello stare a cui accennavo all’inizio: «Se questa è l’ultima canzone e poi la luna esploderà, sarò lì a dirti che sbagli ti sbagli e lo sai». Sarò lì. Se a breve tutto dovesse esplodere, resto. Resto anche se non ho la parola definitiva che possa mettere in pace la tua anima.

Questo è uno dei sacri misteri benedetti dell’amore. Non poter sciogliere tutto il groppo intricato di dolore e tormento che c’è dentro l’intimo di chi ami. Possiamo stare. In un regno idillico e impossibile ciascuno di noi troverebbe nella tasca un discorso armonico per sciogliere ogni nodo. Invece «qui non arriva la musica» e noi siamo «due vite guarda che disordine».

Qui non arriva la carezza di una pace melodica e definitiva, resto sveglio accanto a te.

Lazza, rinascere dentro un conflitto

Jacopo Lazzarini, classe ’94. Ha frantumato un colosso di pregiudizio enorme come l’Everest. Ed è bastato l’incipit.

«Ho paura di non riconoscerti mai più». Non potrebbe essere più chiaro nel mettere sul tavolo la vulnerabilità, la paura di non riconoscersi a vicenda. Chi di noi sarebbe così lucido nel mettere a fuoco che il vero punto ferito di ogni conflitto è questo? Io no. L’ho messo a fuoco stando al passo di Lazza, che parla una lingua che in molti punti devo tradurre (cioé: comprendere al di là del modo a me consono di esprimere immagini e sentimenti).

Il conflitto è un tema su cui il nostro tempo va in tilt. Non si danno altre risposte se non la rottura brutale o la tolleranza senza spina dorsale. Lazza cammina su un altro sentiero. «So che ho un posto ma non qui,
tra le tue grida in loop
». Il punto terribile di ogni conflitto non è la collisione di opinioni, la rabbia, gli urli. E’ l’ipotesi di divergere, scappare dal seme più fecondo dell’amore: guardando te, riconoscendoti, vedo meglio me. Ho paura che questo salti, dice Lazza. E da lì, infatti, la prima parte della canzone è tutta sul male generato dal divergere, allontanarsi da un incontro che mette a fuoco entrambi. «Corro via su una cabriolet», ad esempio.

Se non c’è un noi, non c’è più neppure un io. «Spazzami via come cenere». Interessante, molto. In questo tempo ci viene sempre detto l’esatto contrario: ti ho lasciato, finalmente ritrovo me stesso. Molto meno scontato è riconoscere la dipendenza (non tossica) dall’altro. L’egocentrico fondato su una felicità autoprodotta si sente molto solido. In questa canzone l’ipotesi è che da soli non siamo capaci di consistenza, siamo davvero cenere. «Primo in classifica ma non mi importa, mi sento l’ultimo come persona».

Poteva benissimo chiuderla qui, Lazza. Sono uscito distrutto da un conflitto, da un amore complicato. Tanti la chiudono qui e urlano il deserto della solitudine, dei rapporti complessi quindi fallimentari. Jacopo Lazzarini, classe ’94, non la chiude qui.

«Scendi che il tempo non vola, sono qua sotto da un’ora». Cioè: ti aspetto. Qui spunta la decisione di restare, di reagire alla spinta divergente, alla fuga, alla forza centrifuga. Non dice “adesso ti capisco e va di nuovo tutto bene”, aspetta. L’amore è un’irriducibile pazienza di attese. La fatica e il valore di stare – dicevo all’inizio. E quello che per due volte è stato un ritornello disperato si ribalta: «rinasceremo insieme dalla cenere».

Possiamo avere duecento zaini di spocchia addosso, avere la puzza sotto al naso di fronte al giovinetto coi tatuaggi che rappa. Possiamo alzare il dito ed esigere che concetti importanti vengano espressi con la forma, la sintassi e le parole che pretendiamo siano adeguate.

Oppure, come è successo a me, possiamo fermarci sul limite di una domanda. Ma non sarà che i giovani ci stanno chiedendo – a modo loro – di rendere loro ragione, di nuovo e in modo credibile, di quello che viene dopo il mercoledì delle Ceneri, la Resurrezione?

Un commento

  1. Grazie per la lettura di questi testi e per lo spunto di riflessione… che per altro mi tocca personalmente. Le canzoni le ascolterò, poi, quando sarà calato ulteriormente il polverone.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...